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elena giordano giornalista

La cosa più importante è continuare a raccontare quello che vedo (cit.Anna Politkovskaja)

Mese

dicembre 2022

Intervista a Salvo Andò, ex ministro della Difesa – “L’Italia dei misteri” S_Mensile

Di elena giordano

Ex ministro della difesa del governo Amato, giurista e ordinario di diritto pubblico, personaggio politico di primo piano del Psi, Salvo Andò ha assunto incarichi e responsabilità di grande rilievo nella storia socialista negli anni che vanno dal 1979 al 1994. Oltre che un brillante uomo politico, è ancora oggi un acuto e lungimirante osservatore della realtà. Ha fatto parte, inoltre, di tutte le commissioni parlamentari più importanti: da quella d’inchiesta sulla loggia massonica P2, alla Commissione di controllo per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, all’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, sul terrorismo in Italia e sulla mancata individuazione dei responsabili.
-Professore, cosa ne pensa della nuova inchiesta dell’Ungheria, loggia massonica di cui parla l’avvocato siracusano Piero Amara e che ha fatto esplodere il caso Csm?
Non credo che l’inchiesta sulla cosiddetta loggia Ungheria possa portare a grandi risultati. L’imputato (Amara, ndr), che ha rivelato ai giudici l’esistenza della loggia, non l’ha fatto certo per amore di verità. Si tratta di una strategia processuale tendente a delegittimare qualcuno e, soprattutto, a creare una grande confusione che potrebbe servire, ma già sta avvenendo, a scatenare una guerra per bande all’interno degli uffici giudiziari.
– Lei è stato parte per molto tempo della Commissione d’inchiesta sulla Loggia P2, crede che oggi, come allora, ci sia allo stesso modo in Italia un “sistema” di potere segreto che condiziona le grandi scelte politiche?
Non c’è dubbio che, anche dopo la conclusione parlamentare sull’inchiesta della P2, si sono avuti reiterati tentativi di ricostruire organizzazioni più o meno segrete allo scopo di condizionare i processi di decisione politica o di ricattare i potenti di turno. Basti pensare al caso Bisignani (Luigi,ndr) e ad altre inchieste in corso. Alcuni sodali di Gelli si sono riciclati, si è parlato di P2, P3, P4. Certo, bisogna intendersi sulla natura di queste organizzazioni, sovente si tratta di gruppi di pressione che tendono ad utilizzare le fonti più diverse per acquisire notizie e commerciarle utilmente di volta in volta, tenuto conto anche della forte e permanente conflittualità politica. Ma c’è anche dell’altro, come rivelato dalla scoperta di reti di traffici spesso illeciti che coinvolgono anche settori importanti del sistema politico, insomma di iniziative anti-italiane.
-Traffico di influenze illecite, insomma. Nel nostro Paese si muove tutto in base all’appartenenza a certi gruppi.
Badi bene una cosa è creare organizzazioni a sostegno dei comitati d’affari, più o meno segrete, un altro conto è organizzazioni eversive come la P2. Spesso si tratta di obbiettivi contigui. Del resto, se si è fatta una legge sul traffico di influenze illecite, era chiaro a tutti che il problema di come difendere l’interesse pubblico minacciato da settori dell’establishment politico e finanziario che fanno massa critica per imporre la loro volontà esiste. Basti pensare ai molti intermediari che si organizzano per fornire servizi alla pubblica amministrazione, spesso utilizzando strumenti tutt’altro che trasparenti. Ovviamente cosa diversa un’organizzazione che si occupa – invece – di aggiustare le sentenze, oppure di interferire sulle nomine dei vertici dei maggiori uffici giudiziari, insomma di stravolgere lo stato di diritto. Ma comunque, ripeto, la mia idea è che da questa inchiesta sulla loggia Ungheria non verrà fuori nulla.
-Che ne pensa, se fosse provato, della presenza del magistrato catanese Ardita, in questa loggia?
Mi auguro che il coinvolgimento dei magistrati sia una balla messa in giro allo scopo di creare confusione e che gli organi di informazione agiscano con senso di responsabilità nel dare in pasto al pubblico certe notizie con senso di responsabilità che spesso in passato non c’è stato in alcuni uffici giudiziari. Certe lezioni dovrebbero servire per tutti. Al di là di come andrà a finire l’inchiesta sulla presunta loggia segreta Ungheria, non pare dubbio che questa vicenda sia destinata a rendere ancora più pesante il all’interno della magistratura italiana. Si tratta di un altro duro colpo assestato alla credibilità della giustizia, già così duramente compromessa dalle disinvolte rivelazioni fatte da Luca Palamara, che ha spiegato come funziona il sistema della magistratura associata che nessuna riforma riuscirà, almeno nell’immediato, a mettere in discussione.
-Dunque, per lei il vero problema della magistratura è il suo sindacato?
Insomma -è questa la tesi dell’ex leader dell’ANM- o si distrugge il sistema, o esso sarà sempre in grado di assorbire crisi e contraccolpi che possano destabilizzarlo, tanto forte è la capacità negoziale che esprime, soprattutto se raffrontata alla debolezza della politica. Stavolta teatro dello scontro tra correnti, gruppi e personalità eminenti del giudiziario è la Procura di Milano. E tuttavia, come sempre avviene in questi casi, è inevitabile un effetto domino dell’inchiesta, con il coinvolgimento di più procure, della Cassazione e, ovviamente, del Csm – che pare essere diventato la sede naturale dei regolamenti dei conti e delle mediazioni che intervengono tra le correnti- nonché degli organi di informazione che fanno da megafono a questo o quel partito dei giudici.
-E di Piercamillo Davigo? Ritiene maldestro il suo tentativo di minimizzare la vicenda?
Davigo è stato protagonista “volontario” di tanta bagarre. Davigo, esponente di spicco di ANM e leader indiscusso della sua ala iper-giustizialista, oggi in pensione, fa notizia qualunque sia la posizione che assume nel dibattito sulla giustizia. Inspiegabilmente ha avuto a disposizione le carte dell’inchiesta -coperte da segreto istruttorio – ed ha cominciato a muoversi a destra e a manca per salvare, a suo dire, la Repubblica. Questa inchiesta rivela, attraverso la durezza dello scontro che contrappone anche magistrati che erano legati da vincoli di corrente, che le tensioni interne al mondo giudiziario hanno ormai raggiunto un’intensità tale da minacciare una ordinata vita democratica. Ciò ha contribuito a fare del Csm sempre più un porto delle nebbie. Il Consiglio è di fatto divenuto il braccio armato dall’ANM, ma anche una terza Camera che gestisce in via esclusiva le politiche della giustizia.
– Che si può fare?
Secondo me c’è un solo modo di mettere ordine a questo stato di cose: tornare alla Costituzione, cioè abrogare la costituzione materiale del giudiziario venutasi a formare su impulso dell’ANM. In questo contesto, l’autogoverno della magistratura ha dato luogo ad una vera e propria attività di indirizzo politico in materia di giustizia, condivisa da Anm e Csm. Ciò ha creato un coagulo di interessi corporativi che hanno nociuto all’indipendenza.
– Prima di Amara, un’altra vicenda ha scosso i palazzi siciliani e di tutto il Paese: quella di Antonello Montante e della “sua” Confindustria”. E’ la stessa storia che si ripete, secondo lei?
Si tratta di vicende diverse, stando a quanto è finora emerso. Nel primo caso si è trattato di un fenomeno di malagiustizia, di scambio di favori tra magistrati ed avvocati, insomma di un traffico illecito di influenze favorito da consolidate relazioni che gli avvocati indagati intrattenevano con personaggi collocati ai piani alti del sistema giudiziario e anche di un collaudato mercato delle sentenze. Nel secondo, invece, uno dei più significativi avamposti dell’antimafia costituito dal mondo delle imprese pulite, si è rivelato pericolosamente contiguo alla mafia, disposto a fare affari usando gli stessi metodi.
-L’antimafia di quella stagione – recente, tra l’altro – era diventata il simbolo del cambiamento, sembrava che dalla Sicilia fosse partito un movimento che stava cambiando il Paese.
Si è utilizzata la credibilità acquisita attraverso le battaglie antimafia come grimaldello per estorcere decisioni politiche gradite, per ottenere tutto – o quasi – nel mondo degli affari, violando le regole della concorrenza. Costoro, insomma, hanno utilizzato l’impunità conquistata attraverso le invettive contro la mafia per fare affari tutt’altro che puliti e, paradossalmente, accettando anche complicità imbarazzanti che la politica assecondava, dimenticando che le cose non sono buone o cattive a secondo di chi le fa ma, come insegnava Sciascia, sono buone o cattive in sé.

-Insomma, ci siamo trovati davanti a degli impostori?
Si è abusato della credibilità popolare, del sostegno dell’informazione per realizzare una grande impostura, che ha fatto di piccoli imprenditori importanti uomini d’affari di fronte ai quali si aprivano tutte le porte.
E’ chiaro che il mondo dell’impresa pulita davvero, che inneggiava a Libero Grassi, si è sentito tradito, impotente di fronte a questa antimafia faccendiera, sia nel mondo del business che in politica. Si è distrutto un tratto di storia siciliana fatto di grandi speranze. La Confinfustria siciliana ha subito un colpo durissimo, alcuni suoi uomini simbolo sono spariti dalla circolazione, si è data ragione a chi parlava di una Sicilia irredimibile, ove cambiano le facce ma non i metodi di governo, l’intreccio tra affari legali e illegali.

-Cambiamo argomento, Lei ha avuto modo di seguire le ultime dichiarazioni del pentito di mafia Maurizio Avola? Con il boss catanese oggi protagonista del nuovo libro di Michele Santoro, che si è reso negli anni fonte inesauribile di rivelazioni. In alcuni processi, infatti, ha tirato in ballo anche i socialisti.
C’è qualcosa di incomprensibile in questa operazione editoriale proposta da Santoro attraverso il libro su Maurizio Avola che non può essere trattata, come qualcuno ha detto, soltanto come un tentativo di Santoro di rientrare nel grande giro della comunicazione. Del resto, Santoro stesso spiega che non sa bene perché ha deciso di incontrare uno che ha ucciso più di 80 persone, che da pentito ha continuato a fare il rapinatore, che ha compiuto efferati delitti e che è stato un killer spietato che ha operato sempre su commissione e, in qualche caso, anche in proprio. Ha fatto una grande impressione, tanti anni fa, in occasione di un processo a Bologna, svoltosi intorno la metà degli anni 80 una sua dichiarazione in cui ha spiegato che aveva ucciso una vicina di casa perché gli era antipatica, perché lui più o meno ragionava così; se qualcuno gli dava fastidio, lo liquidava. Ripeto tutto ciò c’entra poco con la storia romanzata che ci consegna Santoro.
-Lei dice, in sostanza: Santoro si è dequalificato dando voce a uno che non è neanche stato un pezzo grosso della mafia e un uomo d’onore.
No, fa il suo mestiere dopo anni di silenzio. Semplicemente, osservo che, in questo caso, non c’è un criminale che sente il peso terribile delle proprie colpe, ma un mentitore sbugiardato dai tribunali di mezza Italia che ancora una volta vuole farla franca per avere dei vantaggi, pensando che attraverso le sue fandonie possa trovare udienza presso l’opinione pubblica e, magari, mettere in moto un processo di depistaggio che può servire ad alcuni oltre che a sé stesso. Non è una grande notizia quella secondo cui Cosa nostra, aveva rapporti anche con apparati istituzionali. Ma su questo punto Avola non dice molto, spiega che ha fatto tutto da solo nella fase finale dell’attentato di via D’Amelio, perché non c’è alcuna autorità al di sopra della mafia che potesse condizionarne le scelte. Insomma, ci tiene a dire che con la sua confessione finisce tutto, che non c’è più nulla su cui indagare. Non dà prove, vuole che il caso si chiuda cosi come si tentava di fare con i tanti depistaggi, poi smontati.
– Si riferisce alla precisazione di Avola in cui si esclude la partecipazione dei servizi segreti all’attentato al giudice Borsellino?
Dalla narrazione di Avola, che è un mentitore seriale, viene fuori insomma che al di fuori della cupola mafiosa non c’è altro. E’inutile fare indagini. Insomma, è lo scopo pratico del libro che risulta sfuggente, a meno che non si pensi che siano stati gli avvocati ad avere indotto Avola a dire le cose che ha detto per potersi reinserire in un programma di protezione.
– Insomma, o Michele Santoro stavolta è scivolato sul bagnato oppure, secondo lei, sta prestando il fianco a qualcuno.
Il libro è debole, perché non c’è un tentativo di controinchiesta, parla soltanto Avola, non ci sono importanti riscontri e se ci sono quei pochi, che dovrebbero essere a favore di questo super killer, sono debolissimi. Stando al giudizio di alcuni avvocati che conoscevano il personaggio pare che Avola non se ne intendesse di esplosivi e invece viene trattato come un grande tecnico della materia, addirittura ci fornisce una sua lettura del delitto Mattei, con i boss che manomettono un aereo per mettere una bomba. Non è un gioco da ragazzi fare ciò su un aereo. Non c’è inquirente che non abbia definito inattendibile Avola, insomma, sembra che ci si trovi di fronte ad un nuovo tentativo di depistaggio da parte del personaggio. Santoro ha spiegato che si ha paura del suo libro, ma il libro come l’inchiesta, non dovrebbe fare paura a nessuno.
-A proposito dell’uccisione di Enrico Mattei, come mai non si è ancora approfondita tutta la vicenda?
Su questo argomento non mi pare che ci sia interesse ad approfondire. Facendo delle precise domande a chi dice di sapere molto sull’argomento, come mai non si chiede chi permise ai boss di entrare in pista? Quali erano le dimensioni e il funzionamento della bomba ? Dove è stata nascosta? Come sono entrati nell’aereo, solitamente con portelli chiusi serrati quando è in sosta?
-Ma dunque chi vuole colpire davvero il pentito e chi vuole proteggere?
Io direi che non è dato capire chi sta manovrando Avola, a quali fini e se questo tentato depistaggio sia in grado di reggere a lungo. Ripeto, sembra che si sia di fronte ad un nuovo tentativo di ostacolare l’inchiesta. A chi conviene tanto zelo investigativo a senso unico e che non produce prove inoppugnabili. Pare proprio assolutamente inattendibile il tentativo di fare emergere l’umanità di un killer spietato che entra ed esce dal pentitismo trovando via via mallevadori diversi; ieri i giudici, oggi un giornalista. Le rivelazioni di Avola tutto sono tranne che sconvolgenti e in molti processi, che si sono svolti anche a Catania, sono state smentite in maniera netta.
– A cosa si riferisce in particolare?
Per esempio, ai rapporti tra i partiti e le organizzazioni mafiose, ha dato delle notizie, con riferimento alle campagne elettorali, che sono state poi smentite. In sostanza, cercava di dare di se l’impressione di essere un personaggio di rilievo dell’organizzazione, ma quando si arriva a chiedergli dei particolari verificabili, compie errori clamorosi; non riferiva notizie de relato, ma notizie inventate di sana pianta. Era noto a tutti che i socialisti e i radicali avevano fatto il referendum sulla giustizia, ma Avola quando parlava di rapporti elettorali utilizzava questo elemento per giustificare le sue clamorose rivelazioni. Mentre poi con dati elettorali alla mano, è emerso che i boss i voti li davano non tenuto conto delle crociate garantiste ma attraverso operazioni di compravendita.
-Un pentito anche fanfarone, dunque?
In sostanza, nella storia del pentitismo mafioso Avola è stato considerato un magliaro che metteva in circolo notizie tanto clamorose quanto improbabili, considerato che non aveva accesso ai piani alti dell’organizzazione mafiosa. E, però, per godere dei vantaggi del suo status di pentito doveva comunque dare notizie eclatanti.
-Terrorismo: qualche giorno fa, a distanza di 40 anni, sono stati eseguiti gli arresti in Francia di dieci tra i maggiori terroristi rossi fuggiti dall’Italia negli anni di piombo e protetti fino ad oggi dalla dottrina Mitterrand. Crede che questo cambio di rotta nei confronti dell’Italia sia dovuto all’influenza del nuovo premier Mario Draghi o c’è dell’altro?
Non so se Draghi abbia compiuto passi informali. Tutto però mi pare che si sia svolto alla luce del sole attraverso l’iniziativa assunta dalla ministra Cartabia. In verità l’Italia aveva fatto pressioni sui francesi anche in passato, ai tempi di Chirac. Qualcuno si è chiesto perché la Francia adesso sembra disponibile a cedere, cioè a concedere l’estradizione. Non credo che, Macron, sia mosso da interessi elettorali anche perché quello di estradizione è un procedimento lungo che non si risolve dall’oggi al domani. Su questo tema la battaglia ideologica sembra ormai davvero datata, non c’è stata mai una vera e propria dottrina Mitterand.

-In cosa consiste nello specifico, questa sorta di protezione nota a tutti con il nome del defunto presidente francese?
E’ noto che, Mitterand, non fosse propenso a promuovere regimi emergenziali, non credeva nell’attendibilità dei pentiti. Da questo punto di vista non c’è mai stata un’intesa tra socialisti francesi e italiani. Certo, Craxi era molto amico di Gilles Martinet, l’ambasciatore francese in Italia e quindi ne avrà pure parlato di questi problemi, ma le opinioni di Craxi sulla violenza politica sono ben note, non la tollerava in nessuna forma. A suo tempo manifestò molta preoccupazione con riferimento anche a possibili movimenti studenteschi che si andavano radicalizzando. Spiegava che, dalla contestazione violenta, potevano venire rischi molto seri per il paese.

-Quindi voi socialisti e soprattutto il leader Craxi non eravate perdonisti?
Ai tempi della contestazione sui muri dell’università Statale di Milano si inveiva contro Craxi sostituendo nelle scritte la svastica alla x. Non ha mai carezzato il pelo dei bravi ragazzi che sognavano la rivoluzione aggredendo i poliziotti, ma rifare adesso la storia degli anni di piombo per trovare argomenti che in qualche modo possano rendere più difficile l’estradizione è sbagliato. Ci sono verità che certamente bisogna ricercare, ma senza confondere il ‘68 con il terrorismo. Quest’ultimo ha rappresentato una forma di degenerazione della lotta politica che non ha mai trovato consenso di massa del Paese. In sostanza i terroristi volevano distruggere la democrazia e instaurare la dittatura, cancellare le conquiste che il Paese aveva faticosamente realizzato.

– Quale potrebbe essere dunque il senso di questi arresti dopo 40 anni?

Fare scontare le pene a chi è fuggito all’estero. E’ assolutamente corretto che l’Italia si sia data e si dia da fare per vedere applicate le sentenze di condanna dei terroristi che, per evitare il carcere, hanno trovato rifugio in altri paesi C’è da dire che non sempre le richieste di estradizioni sono state coltivate con la necessaria convinzione. Su questo terreno non c’è garantismo che tenga, si tratta di responsabili di orrendi delitti ed è giusto che saldino i propri conti con la giustizia.

-Potrà servire questo a farci scoprire verità mai sapute?

Forse si. Basti pensare al rapimento e all’uccisione di Moro. Ma la lettura della storia degli anni di piombo registra una larghissima condivisione nel Paese. Ripeto bisogna non confondere le lotte con il terrorismo. Ci sono differenze abissali tra i movimenti che volevano un paese meno bigotto, in cui si stabilisse un nuovo rapporto tra autorità e libertà e quelli che all’interno di essi sprangavano gli avversari, rompevano le teste, creavano incidenti con le forze dell’ordine che hanno prodotto delle vittime.
I terroristi volevano creare un clima di terrore illudendosi che, in questo modo, potevano favorire una improbabile sollevazione popolare. Hanno distrutto famiglie e ucciso innocenti, hanno colpito tanti lavoratori il cui torto era quello di difendere la democrazia. Alcuni erano accecati dall’ideologia, altri erano analfabeti che praticavano la violenza per la violenza. I poliziotti e i carabinieri contro cui sparavano venivano da famiglie molto modeste, quindi da questo punto di vista il giudizio storico è definitivo. E’ giusto che, finalmente, paghino quelli che fino ad ora hanno evitato il carcere. Accettando il carcere avrebbero avuto dei vantaggi. Certo, una pena inflitta quarant’anni dopo rende problematico il reinserimento sociale, non consente di redimersi, ma da questo punto di vista chi si è sottratto al carcere ha compiuto un ulteriore errore. Gli argomenti dei gauchisti francesi, secondo cui il carcere dopo tanti anni di esilio è un errore, non convince. A costoro bisognerebbe chiedere quale atteggiamento terrebbero se i terroristi del Bataclan venissero in Italia per non espiare le pene e magari si rifiutasse loro l’estradizione.

-Siamo alla scadenza del mandato presidenziale. L’anno prossimo la Sicilia andrà al voto e già appare scontata la ricandidatura di Nello Musumeci. Chi potrebbe essere, secondo lei, un buon candidato per il centrosinistra, tenuto conto che è già sceso in campo Claudio Fava?
Un buon candidato è quello che riuscirà a rimediare alla crisi di reputazione che ha portato ad una totale svalutazione dell’istituto autonomistico. L’autonomia è un valore importante per la crescita, ma ha bisogno di classi dirigenti in grado di esprimere una grande capacità negoziate a livello nazionale, di dimostrare che molte scelte, se affidate ai territori, possono dare risultati migliori di quelli prodotti da un centralismo spesso obeso e inefficiente.

-Quindi lei è per l’abolizione dell’autonomia siciliana?
Non esageriamo. La nostra autonomia è nata prima della Costituzione. Si tratta però di un primato che non abbiamo saputo valorizzare. Abbiamo spesso copiato il peggio dello stato centralista. Sul piano delle storiche inefficienze del pubblico abbiamo avuto in questo senso un’autonomia ‘replicante’. L’autonomia invece deve esprimere grandi progettualità. Siamo l’unica regione a statuto speciale nel sud e dovevamo costituire un faro per le regioni meridionali. Così non è stato. L’ARS si è caratterizzata come luogo dello scambio politico minuto, dello spreco di risorse, di riforme mal fatte. Lo Stato andava sfidato sul terreno dell’innovazione e non chiedendo provvidenze con il cappello in mano.

-Se la sente di azzardare un bilancio sul mandato in corso di Musumeci?
Musumeci è una persona perbene, che è stato sempre in politica dalla stessa parte. Il governo con questa maggioranza può solo sopravvivere, non governare. L’immobilismo però dipende in larga misura dall’Assemblea, per le ragioni già dette, soprattutto per le pratiche di governo spartitorio che hanno caratterizzato tutte le stagioni politiche. Non c’è una maggioranza ma un sistema di feudi autoreferenziali che negoziano su tutto e, se non riescono a ottenere ciò che chiedono, si contrappongono dei veti a vicenda.

– E delle forze di opposizione?Ciò vale anche per l’opposizione. Ciascun gruppo vuole riconosciuto una quota di potere a cui crede di avere diritto altrimenti transita da un centro all’altro. La transumanza qui è sistemica, non fa notizia a differenza di quanto avviene a Roma.

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Intervista a Piero Agen, presidente Confcommercio Sicilia – “La mia vita da Massone” – S_Mensile

Cambiano gli uomini, ma la storia è sempre quella. I siciliani, in fatto di associazioni segrete, logge, “sistemi” e consorterie infiltrate da faccendieri senza scrupoli, mafia e politica deviata, non si sono fatti mai mancare nulla. Lo dicono le ultime relazioni delle Commissioni Antimafia e i fascicoli della magistratura che, solo negli ultimi giorni, hanno scoperchiato in provincia di Trapani un altro “sistema” occulto, una loggia nella loggia, dedito ad affari illeciti oltre che all’infiltrazione senza scrupolo all’interno delle istituzioni e delle forze dell’ordine. La Massoneria in Sicilia è come l’Araba Fenice, risorge sempre, riaffacciandosi all’improvviso, a volte come schermo ad affari loschi che richiamano la fine degli anni ’70 – e l’inizio degli ’80- quando venne a galla la P2 di Licio Gelli, una enorme, occulta, lista segreta di associati che includeva anche l’intero gruppo dirigente dei servizi segreti italiani, parlamentari, industriali, giornalisti e personaggi facoltosi. Con mafia a seguito, naturalmente, come dimostrò il processo e la condanna del siciliano Michele Sindona.
In pochi, quasi nessuno, ammettono di farne parte, ma questo giornale, che da mesi segue i casi più recenti, ha dialogato con uno di loro, Piero Agen, massone dichiarato “ma cattolico”, radicale convinto “fino a quando Pannella c’era con la testa”, numero uno della Confcommercio Sicilia, capo della super Camera di Commercio del Sud- Est e, al momento, tra gli uomini più potenti di Sicilia. Agen, ligure, ma con quarant’anni di carriera sull’isola, socio di maggioranza dell’aeroporto di Catania, con la mega-operazione dell’imminente vendita di Fontanarossa, chiude un cerchio della sua storia personale e professionale degli ultimi anni. E si racconta. Un cerchio, il suo, che l’ha visto combattere una guerra senza esclusione di colpi con i vertici di Confindustria Sicilia – il cosiddetto sistema Montante – al cui interno, anche lì, ruotavano massoni, imprenditori, faccendieri e membri delle forze dell’ordine. “Motivo per cui già nel ‘82 mi sono messo in sonno” – dichiara Agen – e contro i quali ( quelli gruppo di Montante, ndr) dice di aver “sventato” un vero e proprio “sacco” del più succulento affare che ci sia mai stato sul piatto negli ultimi decenni in Sicilia.
-Dottore Agen qual è la sua “obbedienza”?
Il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, detto Goi
– Com’è entrato nella Massoneria?
Sono stato avvicinato nei primi anni ‘80, come avviene spesso, ma da una persona qualunque, un commerciante di cui posso tranquillamente svelare il nome, perché non c’è più. Il signor Pappalardo, titolare del bar della stazione di Catania. Non mi conosceva bene, ci siamo visti qualche volta per una serie di cose che stavamo facendo e così, parlando, mi chiese di entrare. Ci pensai un po’, cercai di approfondire l’argomento leggendo, mi colpì molto l’alta considerazione che i massoni danno al concetto di Pace. Da lì cominciai a frequentare, il mio era il livello di “apprendista”, tale sono rimasto sempre, non ho mai fatto carriera in massoneria.
-E poi cosa accadde?
Che la mia esperienza all’interno della massoneria è durata poco, nel ‘82 mi sono tirato fuori.
-Non ci si tira fuori dalla massoneria, chi è massone lo è per sempre.
Mi sono messo in sonno, come si dice in gergo, ne ho preso, in parte, le distanze, sono una persona molto cauta, come insegna la mia storia personale, per cui c’è stato un momento in cui ho pensato fosse giusto farmi da parte.
-Cosa è successo?
Sono entrato a farne parte perché ne condividevo, e condivido ancora, gli alti valori che stanno alla base dell’associazione massonica. Non è un gioco, si discute di concetti che puntano fortemente alla crescita personale di un individuo. In quel periodo, però, rimasi perplesso da un fenomeno che si faceva sempre più diffuso.
-Quale?
Il fatto che sempre di più e sempre più spesso, entravano esponenti delle forze armate. Tutta la mia stima, per carità, ma erano anni strani quelli, la cosa non mi lasciava tranquillo.
-Cosa ne pensa di questa “emersione” improvvisa di logge segrete, ma anche di cosiddetti “sistemi”, pensiamo ad esempio al “sistema Montante”.
Il “sistema Montante” è altra cosa, di questa storia, secondo me, ne dovremo vedere ancora delle belle, forse è venuto fuori solo il venti per cento di quello che c’è sotto. Per il resto ci tengo che la stampa capisca, una volta per tutte, che spesso si fa confusione, si attribuisce troppo facilmente l’appartenenza a chiunque si riunisca al bar e si mette insieme con quattro amici per fare affari. Il concetto di massoneria dovrebbe essere chiarito definitivamente, lo dico da massone ideologico non praticante, sono anche cattolico, negli anni ero più cristiano, che cattolico, oggi invece mi sto riavvicinando al cattolicesimo, nel senso stretto della parola. Vorrei che si ricordasse, sempre, che una cosa sono le idee e altra sono gli uomini. Voglio dire che i principi che stanno alla base della massoneria sono seri, rigorosi, trasparenti. Altra cosa è confondere questi valori, con chi dovrebbe metterli in pratica, non riesce bene a tutti e, forse, in molti non li prendono sul serio, anzi usano l’appartenenza massonica come un taxi per essere portati da qualche parte. E’ qui il grande errore.
-Ma come funziona, quando è diventato “fratello” massone cosa le hanno detto?
Quando arrivi per la prima volta a uno degli incontri tra fratelli, ti vengono fatte delle domande, anche scritte, prima di decidere.
-Cos’è un esame?
Assolutamente no, si tratta di un confronto come dire “esplorativo”. Quando fu il mio turno ricordo che non andò tanto liscia, per alcune mie dichiarazioni si creò un attimo di tensione. Io sono fatto così, dico sempre quello che penso, anche in quell’occasione non intendevo derogare alla regola.
-Ci potrebbe raccontare di più?
Ricordo che si parlò della responsabilità, ad esempio, io penso che ognuno di noi debba rispondere prima di tutto a se stesso e poi alla legge. Il rispetto della legge è necessario per il vivere civile, è giusto porre delle limitazioni alla propria libertà personale per rispetto della società e del bene comune, ma la prima responsabilità di un uomo, io credo, sia quella che ha verso se stesso. Sei tu che devi giudicarti per primo se stai facendo male. Non ricordo chi lo abbia scritto, credo un inglese, disse che la massoneria e l’unico ambiente dove il ricco e il povero, il cristiano e il musulmano o l’ebreo, il potente e l’umile si siedono alla pari. E’ una cosa di cui si dovrebbe sempre tener conto, poi, aggiungo, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, o meglio, ci sono gli uomini e non è un dettaglio da poco.
-Quindi, Lei decise di uscire perché non la convinse qualcosa?
Devo dire che una delle ragioni fu la mancanza di tempo, ero già impegnatissimo allora, quando arrivai a Catania, chiamato a dirigere da direttore confederale della Confommercio, dal mio presidente Nino Pantò, e trovai una situazione difficilissima. Tra il 1979 e il 1981 mi chiesero di fare il direttore Catania, ero (e sono) un uomo di Confcommercio, molti imprenditori di allora vollero che fortemente un uomo venuto da fuori. L’altra ragione, l’ho già accennato, fu che mi sorpresero le tante adesioni di esponenti delle forze armate, molti della provincia di Messina, mi sorse il dubbio che non era una cosa tanto normale, poi quando seppi dell’Ammiraglio Torrisi, Capo di Stato Maggiore della Difesa, di cui qualche anno dopo apprendemmo dell’appartenenza alla P2, mi spiegai molte cose.
– Si spaventò?
No, per nulla, le mie perplessità aumentarono, ma me ne andai senza alcuna polemica, decisi soltanto di fare un passo indietro. Ripeto che per me l’idea resta meravigliosa, nella gestione degli uomini, invece, nutro qualche dubbio. Per esempio non capisco la segretezza, ho moltissimi amici che si dichiarano apertamente, credo che però sia un problema soprattutto italiano.
-Ma il primo a difendere la segretezza è l’attuale Gran Maestro dei Goi, Stefano Bisi, che si è rifiutato anche di dare gli elenchi alla Commissione Antimafia guidata da Rosy Bindi.
Credo che Bisi sbagli, questo modo di agire fa si che s’incorri nell’errore di fare di tutta l’erba un fascio, di individuare massoni in qualunque gruppo segreto organizzato, sembra che ci sia qualcosa da nascondere, ma gli elenchi sono o dovrebbero essere pubblici, noi tutti siamo registrati regolarmente nelle varie provincie di appartenenza. Dico anche, però, che se quest’operazione di trasparenza si fa per i massoni perché non farla, anche, per gli aderenti ai Lions o ai Rotary, alle organizzazioni religiose, a Comunione e Liberazione, a Opus Dei? Credo che la massoneria, per certi versi, vada perdonata per questo errore, è la storia che ha creato questa necessità di eccessiva difesa, il contrasto con la Chiesa cattolica che risale ai secoli passati e poi, successivamente, con il fascismo, perché proprio per i suoi principi di libertà di pensiero era considerata un’appartenenza di cui sospettare. La massoneria è stata sempre di per sé la prima nemica di qualsiasi forma di dittatura, per difendersi ha commesso l’incredibile errore di lavorare in maniera sotterranea.
-Non crede che troppi sono stati i nomi di mafia associati alla massoneria?
Come le ho detto da una parte ci sono le idee, dall’altra gli uomini, l’errore che non si dovrebbe commettere mai è quello di tollerare che su qualcuno di noi ci sia un dubbio. Al primo segnale, e nel caso di Trapani mi pare evidente, si dovrebbero sospendere immediatamente coloro che sbagliano.
-Quella di Trapani è una loggia segreta all’interno di un’altra loggia ufficiale.
Questa cosa la trovo di una gravità inaudita. Se degli iscritti alla massoneria – anche se questi qui pare fossero iscritti al Grande Oriente di Francia – ritengono di dover creare separatamente, dall’oggi al domani, una loggia segreta, vanno allontanati immediatamente.
-Tutti sappiamo che Trapani è una zona particolare, ricordiamo ad esempio la Loggia Scontrino.
Le posso dire soltanto che qualcosa di simile io l’ho intravista in Calabria, un mio caro amico era iscritto a una loggia e su mio consiglio, una decina d’anni fa, è scappato. La mia sensazione era che fosse una loggia assolutamente fasulla.
-Ma a cosa serve far parte di una loggia, si fanno affari?
Il principio è quello della fratellanza e del mutuo soccorso, ad esempio c’è la procedura di mettere da parte del denaro per chi di noi ha bisogno di sostegno. Poi si condividono interessi comuni, anche professionali, non c’è nulla di male, avviene in tutte le associazioni, io sono per la liberalizzazione delle famose lobby, sono gruppi di persone che stanno assieme per interessi comuni, perché in Italia fanno tanto paura?
-Forse perché in Italia temiamo che diventino casa e copertura per i mafiosi?
Basta regolamentarle, controllarle, negli stati Uniti Stati Uniti esistono da sempre. Quasi tutti i presidenti degli Stati Uniti sono stati massoni, tutta l’élite culturale europea lo è, questo che vuol dire? Che sono mafiosi? Il problema è tipicamente italiano, basta sospendere chiunque si macchi anche solo di un sospetto.
-Le logge siciliane sono forse più permeabili a infiltrazioni?
Guardi prendiamo Malta, quando mi parlano di logge maltesi, ho sempre un attimo di perplessità. Perché tanti italiani s’iscrivono a Malta? Se sei portatore di un pensiero ideale come quello della massoneria per quale motivo hai bisogno di andare lì? Malta in questo momento è un luogo molto strano, si uccidono i giornalisti, si trasferiscono capitali, eppure se ne parla troppo poco.
-Abbiamo fatto cenno al “sistema” Montante, cosa c’entra lì la massoneria?
Secondo me nulla, i cosiddetti “sistema Siracusa” e “sistema Montante” sono casi a parte. Leggendo le prime 2560 pagine dell’inchiesta Montante mi è sembrato strano ad esempio, che mai si è fatto cenno all’affare dell’aeroporto di Catania, aspetto di leggere il resto, se verrà fuori.
-Verrà fuori altro?
Penso proprio di sì, siamo soltanto all’inizio.
-Su di lei non è mai venuto fuori nulla, qualcuno si chiederà com’è possibile? Semplice, perché non c’è assolutamente nulla da tirar fuori, sappia che prima di fare qualcosa vado sempre in Procura. Dovreste vedere a casa mia, nonostante come dite voi, io sia un uomo potente da circa quarant’anni, ho una casa ancora con la recinzione incompiuta. Sono una persona che ha sempre vissuto molto bene, in maniera dignitosa, ho fatto crescere bene i miei figli, mi permetto dei viaggi, ma conduco una vita che per molti versi si può definire modesta. Non mi vedrà quasi mai a cena fuori con grandi gruppi, ho scelto di non partecipare alle feste, posso dire che nessuno potrà mai dire che mi sono messo una lira in tasca che non fosse del tutto legittimo.
-Insomma lei è perfetto?
Questo lo lascio giudicare agli altri. Però dico sempre ai ragazzi del mio gruppo “se siamo dalla parte giusta possiamo perdere le battaglie, ma le guerre le vinciamo”. Non le sembra strano che io non abbia mai fatto il deputato o il senatore? Ho sempre rifiutato qualsiasi offerta, voglio essere libero, e sereno.
– Lei per chi tifa in politica?
Per quello che ritengo, in quel momento, il partito migliore. Alle ultime elezioni tutti sanno che mi ritenevo vicino ai Cinque Stelle, ho ricevuto telefonate dagli amici che mi dicevano “ma sei pazzo”, ho risposto che mi entusiasmava vedere tanti ragazzi giovani e per bene che scendevano in campo.
-E oggi cosa ne pensa?
Che stanno facendo molti errori. Ho incontrato il ministro Toninelli qualche giorno fa, per la questione della vendita di Fontanarossa, devo dire che c’è stato un confronto sereno, ha ascoltato le nostre ragioni e penso abbia capito. Nulla da dire su di lui. Comunque io resto nell’animo un radicale, per me Pannella era un grande e la Bonino un gigante.
-Si confronterebbe allo stesso modo con Matteo Salvini?
Non avrei nessun problema. Non rinuncerei mai alle mie idee, ma sarei disponibile a qualsiasi confronto.
-Può dirci se Lo Bello e Montante siano massoni?
Ivan Lo Bello lo era senz’altro, è in sonno anche lui. Di Antonello Montante non saprei. Quello loro comunque era solo un comitato d’affari, non c’entra con la massoneria, basti ricordare il caso Gemelli.
– Un comitato d’affari che però si occupava di antimafia.
Cito sempre quella fotografia che viene spesso pubblicata nei giornali e che riprende Catanzaro, Montante e Lo Bello seduti accanto il giorno in cui ricostituirono la Confindustria Sicilia. E’ il compendio di tutto. La foto del potere di questi ultimi anni.
-Come mai da questo gruppo Lei ha sempre preso le distanze?
Ho fatto quello che faccio sempre quando qualcosa non mi convince, resto da solo e penso. Poi decido, è successo anche quando mi dimisi da assessore della giunta Scapagnini, c’erano delle cose che non mi piacevano. E avevo ragione.
-Cosa è successo?
Guardi nel caso della mia esperienza da assessore al Comune di Catania si trattò dello svolgimento di alcune gare, di una in particolare, quella per i bagni chimici in occasione del raduno degli Alpini, che avevo organizzato io. Ho presentato le dimissioni perché non mi convinceva il metodo adottato per fare le gare. Mio padre mi hai segnato tre grandi cose, la prima è che quando tutti cantano in coro devi stare attento perché c’è sotto qualcosa; la seconda è di non arrabbiarsi mai con un invidioso, soffre già abbastanza; poi c’è una terza cosa, la più importante, se succede qualcosa che non ti sai spiegare pensa. Nel caso di Scapagnini, dopo 48 ore dalle mie dimissioni, nessuno aveva ancora dato la notizia, non sapevo spiegarmelo, conoscendo la mente “brillante” della controparte ho preso il mio autista e sono andato al giornale La Sicilia ad annunciarle da solo.
-Perché?
Perché per coprire la mia protesta contro quella gara che puzzava, mi avrebbero ritirato prima loro la delega, non mi sono fatto fregare. Alla fine per quei fatti qualcuno fu condannato però non c’era la Procura di oggi.
-Le capita spesso di incontrare il nuovo Procuratore?
Ci vado ogni volta che devo dire qualcosa, oggi si è molto più attenti ai reati commessi dai cosiddetti colletti bianchi, sono questi che danno un senso del degrado della società. Io credo che a Catania la colpa maggiore di questo degrado sia della classe borghese. La borghesia è scomparsa e quella che è rimasta è una classe sociale che si è adattata a vendere il proprio ruolo in cambio del posticino di sottogoverno, dell’incarico, della nomina momentanea.

-Che rapporto aveva con Antonello Montante?
Di apparente cordialità, in realtà all’inizio pessimo. Lo avete scritto per anni sui giornali, poi c’erano quelli – penso a Sudpress di allora – che scrivevano cose totalmente false su di me. Forse per mettermi pressione, forse perché volevano altro. Un giorno, fui contattato da un amico per andare nello studio di un noto avvocato catanese. Questo, dopo avermi chiesto della pubblicità, m’invita a parlare un attimo da soli e, in quell’occasione, mi dice che sa d’interessi che riguardano la mia azienda agricola, mi parla di alcuni contributi europei chiesti dalla società che amministra mia figlia. Io rispondo: premesso che in quella gara io sono arrivato sesto assoluto in Sicilia, che per questa gara non ho fatto un solo viaggio a Palermo, che la vittoria è assolutamente legittima, forse, se approfondiste un po’ di più, sapreste che io ho rinunciato. E l’ho fatto, non perché sono troppo onesto, ma semplicemente perché mi sono fatto i conti e su novantamila euro avrei dovuto anticiparne trecento. La cosa grave, in questo episodio, è stata che non si capisce come e chi abbia fornito queste informazioni all’avvocato in questione, la richiesta del finanziamento non era a nome di mia figlia, evidentemente si scavava per dappertutto per colpire me. Di questi episodi ne potrei raccontare altri.

-Torniamo all’incontro con Montante.
Posso raccontare di un altro episodio non mi sono mai saputo spiegare, resterà sempre un mistero per me.
-A cosa si riferisce?
Sapete bene che Montante va in crisi quando parte l’attacco di Marco Venturi e di Cicero, era settembre o ottobre, io posso dire che fino all’agosto precedente ho pranzato con Cicero che mi parlava di Montante benissimo. Ricordo come se fosse oggi, faceva caldissimo a Catania, eravamo io lui e Riccardo Galimberti, poi a settembre cambiò qualcosa, anche se la tensione si fece altissima a febbraio. Proprio a novembre dell’anno prima io comincio a ricevere pressioni per telefonare a Montante, me lo chiedono vari amici. Rispondo che se voleva parlarmi mi chiamasse lui. Ecco, il fatto che non saprò mai spiegare, visto che nella battaglia che stavamo con il mio gruppo sulle presidenze delle Camere di Commercio eravamo tecnicamente i più deboli, non capivo perché mi volesse parlare. Era il periodo in cui ero in rottura totale con Antonello Montante, i tempi in cui lui e il presidente di Confcommercio Palermo, Roberto Helg, decisero da soli la nomina all’Irsap e misero una dei loro al posto della persona che io avevo indicato, che era Riccardo Galimberti. Ricordo che toccava a me decidere perché ero presidente regionale. Nominarono un’altra persona a me vicina, ero convinto che lei avrebbe rinunciato all’incarico, visto che io espressi subito pubblicamente la mia presa di distanza, ma non andò come speravo.
-Lei cosa fece?
Ciò che faccio sempre, ho immagazzinato la sconfitta e cominciato ad affilare le armi.
-Torniamo all’incontro.
Una mattina vedo al telefono che ci sono due chiamate di Montante, lo richiamo per educazione e mi dice “avrei piacere che io e te da soli facessimo colazione, giovedì prossimo posso invitarti a pranzo?”
-Accettò?
Prima chiamai il mio amico presidente della Camera di Commercio di Trapani, gli chiesi di accompagnarmi, spiegai che ero certo che Montante non sarebbe mai venuto da solo. E così fu.

– Antonello Montante con chi venne?
Era con Catanzaro, mi dice “io ti porto la voce di Confindustria nazionale – al tempo il Presidente credo fosse Squinzi – e di Confindustria Sicilia che io rappresento, tu devi sapere che tu vai benissimo come presidente”. Lo ringrazio, dopodiché mi chiede se lo posso appoggiare per l’elezione alla Camera di Commercio di Palermo, rispondo di no, spiegando che nonostante sapessero tutti che io non abbia mai amato la presidentessa di Palermo, non mi sarei mai messo mai contro una persona che apparteneva alla mia organizzazione.
-E poi?
Poi mi chiede la stessa cosa su Messina ed io rispondo alla stessa maniera. Lui riceve dunque due no, mi dice che apprezza la franchezza ed io gli chiedo – era presidente a Caltanissetta – se Catanzaro si volesse candidare. Mi rispondono che non ci pensavano nemmeno. Questa era già una cosa stranissima, nel momento in cui erano all’apice lasciavano il potere?
-Ma cosa non si sa spiegare?
Il fatto che mi abbia chiesto queste cose, noi non eravamo assolutamente determinanti, non era detto che avessimo i numeri, avrebbe potuto fare – e lo ha fatto – da solo, come voleva. Perché mi ha chiamato? Mi sono detto che, forse, in quel momento c’era stata una rottura forte con Lo Bello e che poteva avere interesse a indebolirlo. E’ una delle tante letture che mi sono dato.

-Torniamo a Marco Venturi
Non ho letto il verbale dell’audizione in Antimafia di Venturi, ma non mi spiego come mai lui possa non aver parlato della guerra all’interno del sistema camerale. Un anno prima dell’incontro con la Commissione Antimafia mi aveva detto che mi avrebbe querelato.
-Perché?
Perché dissi pubblicamente che faceva parte di una banda.
-Ivan Lo Bello in quel periodo come si muoveva?
Lui è il tipo che sa tutto, ma non dice mai niente e cerca di ottenere il massimo. Il caso Gemelli è esemplare, non c’era giorno in cui non si sentissero. E’ un abilissimo propagandista di se stesso, parlava pubblicamente di Matteo o di Maria Elena, non di Renzi o la Boschi, forse per dare un segnale di potenza.
– Concludiamo con la massoneria, gli ultimi sindaci di Catania sono massoni?
Umberto Scapagnini certamente lo era, dichiarato. Enzo Bianco si dice che lo sia e se lo è, perché non ammetterlo. Il suo grande amico Bruno Visentini era un massone molto importante. Di Salvo Pogliese non mi risulta, anzi direi di no.

Crocetta, posso vincere per la seconda volta – S_Magazine

Dai nemici storici a quelli “nuovi”, anche all’interno del Partito democratico. Lunga intervista a un agguerrito presidente della Regione Rosario Crocetta
di Elena Giordano

sommario
“Io penso solo che sia profondamente scorretto che si sia iniziata una campagna elettorale da parte di altri, e che sia iniziata sin dal primo giorno che sono stato eletto”

E’ già nel ring con i guantoni in mano, pronto a combattere non solo contro il “ciclone” Grillo, che “non spaventa affatto”, ma anche contro i suoi, gli alleati e compagni di partito. “Le primarie? io le ho già fatte, lo volete capire?” Lo va ripetendo da mesi, ma ultimamente lo ha gridato a tutti. Rosario Crocetta si ricandida alla presidenza della Regione “ E gli altri – dice – facciano quello che vogliono”

-Presidente come ampiamente dichiarato “gli altri”, del centrosinistra, sono pronti a fare la stessa cosa. Lei si candiderà ignorandoli?

Perché scusi, mi spieghi, ci potrebbe essere qualcuno che a me, Presidente uscente, potrebbe dirmi cosa devo fare? Io sono candidato, punto. Se qualcun altro ha voglia di fare lo stesso si accomodi. Visti i risultati del mio Governo non ho nulla da temere.

-Ma il sottosegretario Davide Faraone dice che sarebbero auspicabili le primarie, in Sicilia.

Per lui, forse, saranno auspicabili, per me no. Perché da che mondo e mondo un presidente uscente ha diritto di portare a termine il lavoro che ha iniziato. A me le primarie non interessano. Del resto mi sembra naturale, ho vinto le elezioni la prima volta, ho vinto anche in una condizione molto difficile, ricordo a tutti che era dal 1946 che in Sicilia il centrosinistra non vinceva e se sono già passato attraverso un giudizio degli elettori la prima volta è giusto che adesso dicano la propria sul lavoro che abbiamo già fatto.

-Dunque, nel concreto cosa risponde a Faraone?

Scusi, ma perché dovrei rispondere a Faraone? Ho detto che io le primarie le ho già fatte. Il mio Governo ha trovato una regione sull’orlo del crac finanziario, nel 2012 il consuntivo era di meno 2 miliardi di euro, nel 2015 è stato di più 635 milioni di euro, mi pare che ci sia una bella differenza. Questo dato è chiaro e netto. La spesa europea nel 2012 era 12,5 per cento certificata in cinque anni, noi in due anni e mezzo abbiamo raggiunto il 100%. Adesso è pronta a partire la nuova spesa europea. Eravamo la penultima regione nel campo della Sanità e siamo invece adesso al nono posto per livelli essenziali di assistenza, producevamo perdite e invece adesso produciamo utili, il turismo è in crescita, l’agricoltura ha un boom di sviluppo, cresce l’export, siamo la regione italiana che produce più Pil. Nel 2016 il Pil siciliano è stato di 1,5 per cento a fronte di uno 0,6 nazionale. Siamo la regione italiana, se escludiamo la Basilicata che ha fatti contingenti particolari, legati a qualche investimento industriale specifico, che più cresce in Italia. E poi abbiamo chiuso l’accordo con il Governo nazionale per quanto riguarda il Patto per la Sicilia di due miliardi e trecento milioni per la regione e un miliardo per le città metropolitane da spendere nel 2016 e 2017. Mi pare che questo sia abbastanza e se aggiungiamo la lotta contro la Mafia e contro la corruzione, che da parte nostra è stata senza precedenti, qualcuno mi deve venire a dire dov’è che abbiamo sbagliato.

-Aspetti, si fermi Presidente, a parte l’elenco della spesa, il problema qui non pare essere verso qualcuno che ha sbagliato, ma è che lo schieramento di centrosinistra, quindi il suo, ha in mente di valutare anche altri nomi

Mi perdoni, ma se Faraone si vuole candidare perché lei continua a parlare di schieramento o di partito?

-Non è in ballo soltanto il nome di Faraone

Non è un mio problema, ma è il loro. Io penso solo che sia profondamente scorretto che si sia iniziata una campagna elettorale da parte di altri, e che sia iniziata sin dal primo giorno che sono stato eletto. Trovo anche che sia scorretto che con un Presidente in carica ci sia chi vada in giro, soprattutto all’interno del mio partito, parlandone male. Tra l’altro sono gli stessi che partecipano attivamente al Governo avendo assessori all’interno della giunta, assessori che sono direttamente espressione di queste forze politiche. E non parlo solo del mio partito.

L’Udc di D’Alia, ma anche l’Ncd di Alfano, tanto per fare nomi e cognomi, ha dichiarato che a breve faranno una valutazione complessiva e se le aspettative non fossero corrisposte prenderanno decisioni diverse, anche, eventualmente, quella di uscire dal Governo.
Si accomodino, tolgano pure l’appoggio, non è una questione che mi riguarda. Io sono candidato perché ho lavorato con lealtà e credo che debbano essere i cittadini a giudicarmi.

-Che ne pensa di una possibile discesa in campo del sindaco di Catania Enzo Bianco?

Ma lei mi vuole fare parlare per forza degli altri? Mi spiega perché dovrei pensare a loro? Perché impedire i sogni alle persone? Per quanto mi riguarda resta il fatto che io non faccio passi indietro. Ognuno, mi permetta, dica nel proprio campo cosa ha fatto. E non è che tutti questi che si vogliono candidare sono vergini, chi fa il sottosegretario, chi fa il sindaco, chi fa il parlamentare, ognuno presenti il proprio bilancio. Io porterò i risultati di questo Governo, gli altri presentino il loro.

– Presidente per lei l’estate è stata caldissima in tema di rifiuti, abbiamo rischiato grosso con il problema delle discariche strapiene, e ancora la questione non pare sia del tutto risolta.

E’ risolta invece, il Governo nazionale ha riconosciuto che non c’era bisogno di Commissari. Vedete rifiuti per strada? Con i rifiuti abbiamo dimostrato la capacità di questo governo di risolvere tempestivamente il problema. Con un impegno eccezionale e in prima persona oggi possiamo dire che siamo rientrati nella normalità. E il Governo ci ha dato l’ok al Piano. Il fatto è stato che fino al 30 maggio era possibile derogare alle norme sulla biostabilizzazione e la Sicilia aveva una carenza di impianti. Avevo chiesto poteri speciali per 45 giorni, il governo non me li ha voluti dare e abbiamo allora realizzato un’intesa in cui io ho avuto l’intuizione di utilizzare gli impianti di biostabilizzazione mobili. Questo ha permesso di salvarci da una situazione molto critica. La vicenda sarebbe andata ultra-liscia se non ci fossero stati quei quindici giorni di luglio in cui, a causa del fatto che la discarica di Bellolampo non si è allineata subito alla mia ordinanza sulla biostabilizzazione, è stato difficile per diversi comuni del palermitano di poter conferire da loro. Siamo stati dunque costretti a spostare questi rifiuti in altre discariche, a Lentini e a Catania (Sicula Trasporti e Oikos, ndr) intasando un po’ anche la Sicilia orientale. Il braccio di ferro è stato molto duro, ma alla fine siamo riusciti a inserire gli impianti mobili anche a Bellolampo. Anche il sindaco Orlando mi pare che si sia un po’ disteso nei rapporti con noi. Adesso vedremo cosa fare con i termovalorizzatori. Con Maurizio Pirillo (il dirigente generale, ndr) e l’assessore Contraffatto abbiamo sottoposto la questione al Ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, che si è detto ben diponibile.

-Quindi lei è definitivamente favorevole alla costruzione dei termovalorizzatori?

Mini termovalorizzatori, perché no? Questa battaglia contro è più ideologica che pratica. Qualcuno mi deve spiegare perché sarebbe meglio trasferire i rifiuti a Brescia. Pensate che mandandoli lì, dove il termovalorizzatore c’è già, sia più “politicamente corretto”? Questa storia è solo un’ipocrisia. Incontriamoci sulla battaglia per la differenziata, piuttosto, visto che i Comuni sono ancora troppo indietro, cito per tutti Bagheria, che è dei Cinque Stelle, sono ancora fermi al quattro per cento. Adesso i comuni o si adeguano o mando i commissari.

-A proposito, con i Cinque Stelle come la mettiamo? Giancarlo Cancelleri, futuro candidato alla Regione, dice che Lei gli avrà offerto un assessorato almeno una “cinquantina di volte”.

Cancelleri non sa quello che dice e io non temo i confronti per smentirlo. Tra l’altro se davvero fosse lui il candidato dei Cinque Stelle io sarei contento, ha già perso una volta contro di me e potremmo fare il bis.

-Lei sulla discarica di Bellolampo è stato molto duro, ha fatto dichiarazioni anche in Commissione Antimafia. Qualche settimana fa, a Catania, la Presidente della Rosy Bindi ha detto che verrà presto riconvocato, perché “vuole parlare”. Ha qualcosa di eclatante da dire in merito?
Senta, quando sono stato sentito in Antimafia ho spiegato che quello è un territorio molto difficile, non dimentichiamo che il contesto ambientale è quello che è. San Giuseppe Jato, Contessa Entellina, Montelepre per esempio, sono territori della mafia più tradizionale, siamo nel cuore di una mafia molto potente e molto pesante, un terreno minato insomma. Però la questione lì è stata soprattutto che c’è stata una scarsa collaborazione. Anche da parte del sindaco Orlando.

-Allora in Commissione cosa deve andare a dire?

Non so a cosa si riferisse la Bindi, ho chiesto di ritornare perché quella volta ho litigato con la Prestigiacomo.

-Facciamo un esempio: l’on.le Cancelleri proprio a questo giornale ha detto che lei “è il rappresentante di lobby potentissime, una di queste è Confindustria”.
Ah sì? Peccato che io non me ne sono accorto! Ma secondo lei io il faccio “u ruffiano a crirenza”? Il mio conto corrente parla chiaro. Ci sono rapporti economici tra me e questi gruppi? Mi pare di no. Se io non sono nella lista di cui le parlavo prima, se non ho mai preso una lira da nessuno, se non ho interessi da nessuna parte, mi spiegate tutti per quale strano motivo avrei dovuto favorire qualcosa o qualcuno? La verità è che i Cinque Stelle, come tanti altri, fanno solo chiacchere.

-In Commissione Antimafia le sue dichiarazioni hanno provocato qualche mugugno

Quali mugugni? Se si riferisce al catanese, come si chiama, Claudio Fava, che è stato sconfitto (anche lui) clamorosamente alle elezioni, mi pare che è inutile. Se Fava avesse fatto un centesimo di quello che ho fatto io nella lotta alla mafia si auto -incoronerebbe come eroe.

-E quindi?
E quindi mi spiega perché dobbiamo parlare dell’Antimafia e non della Mafia? Le aggiungo però che nelle intercettazioni che riguardano il caso Gemelli (Gianluca, ndr) sono venute fuori conversazioni in cui lui dice “qui abbiamo la possibilità di accedere ad alcuni bandi, ma cu stu Crocetta cu ci parla?” Loro mi temono, c’è una sola intercettazione in cui si parla di me al contrario? I catanesi lo dovreste sapere come ha funzionato nella vostra città, c’era un certo De Vincenzo che era presidente regionale dell’Ance, dunque presidente dei costruttori, che è stato condannato grazie alle mie denunce. Dopo di che c’è stato un gruppo d’imprenditori che sono partiti con Antonello Montante, seguito da Ivan Lo Bello, che hanno fatto la battaglia a quei gruppi di potere. Oggi si scopre che Lo Bello è indagato, ma Montante di che cosa è accusato?
Lei conosce l’indagine? Ma in Commissione non ho fatto differenze, ho voluto fare una battuta nei confronti della Prestigiacomo (Stefania, ndr) perché lei, ad un certo punto, visto che non mi sembra che sia proprio vergine nei rapporti con Confindustria, disse che il problema era Confindustria palermitana. Lì ho risposto che mi risultava che Confindustria siracusana manco scherzava.
Se diamo un’occhiata su internet, ci sono Pietro Grasso, Giuseppe Pignatone, Rosy Bindi, tutti hanno esaltato quel sistema confindustriale. Io Antonello Montante lo conoscevo perché era della provincia di Caltanissetta, ci sono affari tra me e Montante? Mi pare di no, quindi il discorso è chiuso.

-E del problema corruzione, in generale, che ne pensa, come lo state affrontando?

Ricordo a chi ci legge che quando mi sono insediato, nei primi sei mesi, ho revocato trentotto appalti mafiosi. Trentotto. Appalti affidati a imprese che lavoravano da anni e anni con la Regione Siciliana e delle quali nessuno si accorgeva che erano mafiose. Abbiamo cominciato noi a fare pulizia e l’abbiamo fatta in tutti i campi, anche nella lotta alla corruzione. Un esempio? Quando Palermo, Messina e Catania erano le capitali mondiali per il consumo di farmaci per l’osteoporosi. Per avere quei dati di consumo di questi farmaci devi avere un clima da Islanda e la fame da Biafra, ma non mi pare che con tutte le difficoltà che abbiamo in Sicilia sia questo il nostro problema.
Adesso invece ci dobbiamo concentrare sulla novità che la Mafia tradizionale, la mafia delle montagne, ricordo il caso di Giuseppe Antoci sui Nebrodi, non è scomparsa. In commissione Antimafia il mio dissenso è nato su questo, sul fatto che tendiamo a dare scarsa attenzione al problema. E quando questo tipo di mafia insieme ai pascoli gestisce i fondi europei significa che si è saldata con tanti interessi.

-All’interno degli apparati burocratici?

Noi abbiamo un tema molto preoccupante da attenzionare, e cioè, che questa mafia si sta saldando con la ‘ndrangheta, anche attraverso l’alleanza con i Santapaola di Catania e con i Tortoriciani della provincia di Messina. Abbiamo tutta la zona che va verso Messina e verso i Nebrodi dove c’è un cocktail pericolosissimo che può portare la Sicilia ad arretrarsi.
Poi, ricordo a tutti che ci sono cose clamorose che abbiamo fatto come le denunce sulla truffa Montepaschi, quella dei beni di proprietà della Regione svenduti a metà del prezzo e poi riaffittati. La svendita, denunciata alla Procura della Repubblica, della Banca dell’Irfis che valeva cinquecento milioni di euro ed è stata svenduta dai precedenti governi per dieci. Sono circa un miliardo e mezzo di euro di truffe fatte ai danni del popolo siciliano. E’ chiaro poi che noi vivevamo de “l’amicu”.

Il Patto per la Sicilia sembra cosa fatta. I 5,7 miliardi del mega-progetto nazionale, che avete firmato con il Premier Renzi lo scorso 9 settembre alla Valle dei Templi adesso bisogna spenderli. E non è cosa da poco, considerate le “difficoltà” della Regione siciliana a spendere almeno quelli europei.

Ripeto, quelli europei verranno spesi fino all’ultimo euro e, per quanto riguarda il Patto, ho già presentato l’elenco delle opere che partiranno a breve. Sono oltre mille interventi in ambiti quali turismo, infrastrutture, sviluppo economico, ambiente, agricoltura e sicurezza. E non manca la riqualificazione urbana. In cinque anni li spenderemo eccome.

L’Ora, presentazione al monastero dei Benedettini

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